roger creager - road show
E’ uno degli artisti texani che ho “scoperto”
più di recente rispetto a molti altri, ma
fortunatamente oggi è possibile recuperare il
tempo perso acquisendo un’intera discografia nel
giro di un click!
Alcuni attirano la mia attenzione per la
struttura e le sonorità delle loro canzoni,
altri per la carica “elettrica” musicale
(essendo nato prima come rockettaro), altri per
la singolarità vocale, e Creager è uno di questi
ultimi. Ci sono voci nate per il blues, altre
per il rock ed altre per il country, come quella
di Roger.
Pur essendo nato nel ’71 a “Corpus Christi”, in
Texas, il suo sogno non era quello di diventare
un chierichetto, bensì un cantante country,
sogno che si è coronato nel 1998 con il suo
primo album dal titolo Having Fun All Wrong. Ma
il lavoro di cui voglio fare una breve
recensione è molto più recente, si tratta di:
Road Show, studio album del 2014.
E’ uno di quei lavori che possono essere
definiti breve ma intenso. Si tratta infatti di
una raccolta di 7 brani:
. Road Show
.
Where the Gringos don’t go
. River Song
. Different then I’m feelin Right Now
. I love you when I’m Drunk
. Forever in your Eyes
.
Little bit of them all
I classici brani che ti ascolti volentieri
durante un bel viaggio; non eccessivamente
impegnativi nei testi, ritmo giusto, musica non
troppo invadente e ben calibrata sui bassi,
chitarra elettrica, e batteria, e si alternano
bene canzoni spensierate e belle ballate
romantiche al punto giusto (senza eccedere negli
zuccheri). L’impronta rimane quella di un singer
e songwriter sulla cresta dell’onda dal 1998,
con l’azzardo di alcuni strumenti poco
utilizzati nel country, ma inseriti e dosati a
dovere.
Non vi resta che ascoltarlo.
Presente su iTunes a 6,99 Euro.
(Roberto Bresciani)
billy joe shaver - long in the tooth
Ed eccomi a parlare del
nuovo lavoro di un outlaw per eccellenza, Long
in the Tooth di Billy Joe Shaver. Non c’è nulla
di meglio che scrivere ascoltando una dopo
l’altra le tracce di questo album sorseggiando
un buon bicchierino di Talisker, circondato
dalla quiete e dal silenzio che accompagnano la
notte… certo c’è anche da tenere in
considerazione quella rilassatezza che ti
fornisce la sicurezza di andare ad ascoltare
qualcosa di buono.
Come per Willie Nelson e per Johnny Cash, anche
Billy Joe Shaver rientra nella categoria di
artisti che apprezzo maggiormente nelle ultime
interpretazioni, nelle canzoni degli ultimi
anni… la voce, signore e signori, solo la loro
voce è sufficiente per avere la fotografia della
loro vita! Raro elemento, bisogna ammetterlo.
Leggendo il booklet dell’album si rileva, fra
gli altri, il nome di Steve Earle che scrive:
“se un giorno Dio si svegliò e decise di fare di
sé un cantautore, fu un mattino del 16 agosto
del 1939” e se mentre leggi questo hai in
sottofondo la prima track “Hard to be an outlaw”(ft.
Willie Nelson) comprendi quanto ha ragione.
C’è però un ma, c’è però un brano che non si
incastra con gli altri nove pezzi del puzzle ed
è proprio quello che da il titolo all’album
“Long in the tooth”. Trovo che interrompa una
certa linearità, a cominciare dalla ritmica.
Rimane comunque una mosca bianca in un’opera
eccezionale nello stile unico di un honkytonk
man come Shaver.
La cosa che di questi autori non sorprende è la
verità con cui scrivono ed interpretano le loro
canzoni, vi invito a leggere, se ne avete tempo
e voglia, il testo del brano Hard to bea n
outlaw.
Buon ascolto.
(Roberto Bresciani)
old crow medicine show - remedy
Come mettere d’accordo folk,
rock, country e bluegrass? Provate un po’
ad ascoltare il nuovo album degli Old Crow
Medicine Show! Entusiasmante sin dalla prima
traccia “Brushy Mountain Conjugal Trailer”, più
facile da ascoltare che da pronunciare!
Scoprirete dei colpi di genio musicale da
lasciare a bocca aperta… per esempio: vi è mai
capitato di sentire un banjo che interpreta una
chitarra elettrica?
Sono presenti ballate, altre canzoni più
cadenziate e diverse schegge impazzite,
insomma: un mix che non annoia se lo si vuole
ascoltare d’un fiato dall’inizio alla fine... ed
è interamente realizzato con strumenti acustici.
Unica pecca: Dearly Departed Friend… mi ricorda
troppo le sonorità e le ritmiche alla Bob Dylan,
di cui ho sempre odiato la musica e ne ho sempre
amato le cover che ne hanno fatto, vai a
capirci!
Consigliato anche per chi, come me, non è un
patito del bluegrass.
(Roberto Bresciani)
Ronnie Dunn - Ronnie Dunn
Album uscito nel giugno del 2011, porta il titolo
del suo autore, quasi fosse una prima realizzazione
di Ronnie Dunn. In effetti si potrebbe pensare ad
una novità, ad una nuova nascita musicale per
Ronnie, visto che sono anni che non pubblica nulla
come solista; era infatti sempre accompagnato da Kix
Brooks… per chi fosse estraneo al genere Ronnie Dunn
faceva parte del grande duo “Brooks & Dunn”, in
vetta alle classifiche new country dal 1991 al 10
agosto 2009, data quest’ultima che ha decretato lo
scioglimento di un duo con 10 album, 6 raccolte e
diversi singoli al suo attivo.
Pare tuttavia sia stata una “scissione” ben
ponderata e condivisa da entrambi considerando la
dichiarazione stampa rilasciata che citava,
testualmente:
Dopo 20 anni di
musica e aver fatto questo percorso insieme, ci
siamo concordati come duo che è il momento di
chiudere la nostra carriera. Questo percorso è stato
molto più di quanto avremmo mai potuto sognare ....
Lo dobbiamo a tutti voi, voi fan. È giunto il
giorno. Rilasceremo "#1's and Then Some" l'8
settembre 2010 e vi saluteremo per l'ultima volta
nel 2010, con The Last Rodeo Tour.
Ma torniamo a parlare di questo nuovo album di
Ronnie Dunn. Comincio col dire che non ho trovato
grandi soroprese… mi spiego meglio: il 60-70%,
almeno, delle canzoni lanciate dal gruppo sopra
citato sono state scritte dallo stesso Ronnie per
cui il suo stile, la sua impronta, la si conosce ed
è stata mantenuta anche in questo suo nuovo lavoro.
Tenendo presente il suo passato da aspirante
Ministro Battista, non mancano mai contenuti
religiosi in alcune sue canzoni, ma questo lo fa
sempre con discrezione e con senso mirato, elementi
che non infastidiscono anche gli atei più convinti.
Un buon lavoro, studiato, ben ponderato e realizzato
nella struttura, nell’intensità vocale che ha sempre
distinto questo songwriter, nelle parole, nei testi
(addirittura autobiografici in alcune tracce) e
nella musica… Insomma non è assolutamente un
“commercial album”. Dodici brani adeguatamente
alternati fra honkytonk, new country o contemporary
country che dir si voglia, e belle ballate festose e
sentimentali, fanno di “Ronnie Dunn” un album da non
lasciarsi sfuggire, soprattutto per gli amanti del
genere e per i nostalgici.
Fra i miei brani preferiti:
.
Singer in a Cowboy Band
. How far to Wako
. Costo f Livin’
. Bleed Red
. Let the Cowboy Rock
.
I can’t help Myself
. Love Owes Me One
Prodotto dallo stesso Ronnie Dunn per la Arista
Nashville. Sito ufficiale dell’autore:
www.ronniedunn.com
(Roberto Bresciani)
Brad Paisley - American Saturday Night
Non è la prima volta che pubblichiamo articoli su
questo eccezionale personaggio, l’ultimo è stato in
occasione del suo album “Play - the guitar album”…
Avete capito di chi stiamo parlando? Vi fornisco
allora un ulteriori aiuti: quest’anno ha avuto
l’onore di cantare alla White House davanti al
presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama
(il video su youtube ha oltrepassato le 84.700
visualizzazioni), ha avuto sette nomination al
quarantatreesimo CMA Awards (song of the year, male
vocalist of the year, video of the year, single of
the year, album of the year, entertainer of the year,
musical event). Esatto, si sta proprio parlando di
Brad Paisley e del suo nuovo lavoro “American
Saturday Night”, uscito nel giugno del 2009 per la
Arista Nashville.
Strumento predominante, ma non per questo “invadente
ed esasperante”: la chitarra. Del resto che ci si
poteva aspettare da uno che è praticamente nato in
una cassa di risonanza?
Splendide, variopinte e soprattutto ballabili, le
quindici melodie presenti (compresa la strumentale
hidden track che riprende il tema di Welcome to the
future).
E’ un artista che ci ha abituati a ingurgitare i
suoi album in un boccone, fatta eccezione per “Play”
(sofisticato e tecnico), proprio per le
caratteristiche poc’anzi citate e per la pura
bellezza dei pezzi realizzati.
Spiccano le tre ballate principali:
. Anything like me (dedicata al figlio)
. No (dedicata a suo nonno)
. Then (dedicata a sua moglie)
Ma anche brani movimentati come le belle polka (line
dance) di “You do the math” e “Catch all the fish”,
o il brano iniziale che da il titolo all’album
“American Saturday night”, poi vengono “Welcome to
the future”, “Water”, con cui ci va a meraviglia un
two step, le blueseggianti “She’s her own woman” e
“Oh yeah you’re gone”, meritano indubbiamente una
menzione.
Con la track “The Pants” si torna a sonorità antiche
molto vicine al southern Texas country.
Insomma, ce n’è per tutti e per tutti i gusti.
Un’altra grande produzione 2009 da non farsi
scappare.
(Roberto Bresciani)
Toby Keith - American Ride

Se l’album “That don’t make me a bad guy” del 2008 lo avete
trovato gustoso, “American Ride” lo troverete succulento. La
vena musicale di questo giovanotto nato a Clinton (Oklahoma) nel
1961 non sembra proprio esaurirsi, nonostante una carriera
partita nel 1993 che vede ben quattordici album (studio)
all’attivo, escluso quello in questione.
Più precisamente:
. Toby Keith (1993)
. Boomtown (1994)
. Christmas to Christmas (1995)
. Blue Moon (1996)
. Dream Walkin’ (1997)
. How do you like me now?! (1999)
. Pull my chain (2001)
. Unleashed (2002)
. Shok’n Y’all (2003)
. Honkytonk University (2005)
. White trash with money (2006)
. Big dog daddy (2007)
.
A classic Christmas (2007)
. That don’t make me a bad guy (2008)
Insomma, una vera a propria macchina discografica.
Pare che almeno undici della dozzina di brani contenuti in
questo nuovo lavoro siano stati scritti da Toby Keith e Bobby
Pinson durante il tour 2008, e quelli che sta componendo
quest’anno finiranno quasi sicuramente su di una new release
2010.
Ci sono dei pezzi slow da fare invidia alle migliori produzioni
hard rock; ben nota è infatti la caratteristica di questo genere
musicale nei brani lenti che riescono ad esprimere un
romanticismo quasi “innaturale”; basti pensare agli AC/DC, agli
Scorpions, ai Deep Purple, e via discorrendo.
Le tracce a cui mi riferisco sono:
. Are you feelin’ me
. Woke up on my own
. Cryin’ for me (tributo al cestista e musicista jazz Wayman
Tisdale, deceduto il 15/05/2009)
. Tender as I wanna be
Si passa poi all’allegria ed al country rock di Every dog has
it’s day, con cui ci si può scatenare in una coreografia “tush
push”, al brano “Nashville” che da il benvenuto all’ascoltatore
ed il titolo all’album “American ride”, pezzo in cui Toby
ironizza sullo stile di vita americano… e non, oserei dire.
Assolutamente da evidenziare, per le sue sonorità blues,
difficilmente dimenticate nelle produzioni di Toby Keith, il
pezzo “If you’re tryn’ you ain’t” e per la sua carica il numero
undici della lista “Loaded”.
E’ un anno buono per gli artisti country, ci sono veramente su
piazza delle splendide produzioni, come la qui presente.
Prodotto dallo stesso Toby Keith per la Label Show Dog
Nashville.
(Roberto Bresciani)
Lynyrd Skynyrd - God & Guns
Con la segnalazione giuntami da
Country Music Television (CMT) dell’uscita del loro
nuovo video (Simple Life), ho avuto occasione di
conoscere i
Lynyrd Skynyrd, nome un po’ difficile da tenere a
mente… ma fortunatamente non è lo stesso per il loro
sound.
Gli esperti del settore staranno sicuramente
dicendo: “Non conosceva i Lynard Skynyrd?
Blasfemo!”, e hanno ragione. Si tratta infatti di
una band in essere dagli anni settanta, fondata dal
noto Ronnie Van Zant, morto nel ’77 per un incidente
aereo e sostituito nella band dal fratello Johnny.
E’ un gruppo che ha subito varie vicissitudini al
suo interno per la perdita di alcuni componenti, ma
ancora oggi è presente e spinge di brutto sulle sei
corde.
Se avete un momento di depressione o se la
stanchezza sta prendendo in voi il sopravvento, vi
consiglio vivamente di inserire il loro nuovo
straordinario lavoro “God & Guns”, ruotare a 360
gradi la manopola del volume o tenere premuto per
una decina di secondi il pulsante più del volume e
premere il magico tastino…play!
Una raffica bordate da 50 megatoni sconvolgeranno il
vostro stato iniziale, tanto da non ricordare
nemmeno qual’era. Il southern rock & country si
sentono come un sacchetto di ghiaccio sulla fronte
di un febbricitante.
Dodici brani uno diverso dall’altro ed uno più bello
dell’altro, un cd che mi sento di consigliare ad
occhi chiusi. Capacità, tecnica, esperienza e buona
musica sono la formula magica di God & Guns, album
uscito dopo sei anni di silenzio e meditazione
dall’ultimo pubblicato “Vicious Cycle”.
Vi lascio con un paio di curiosità: Jeffrey Steele
ha collaborato nella stesura del testo di Simple
Life e Unwrite that Song; il nome Lynyrd Skynyrd
nasce dalla storpiatura del nome Leonard Skinner,
insegnante di ginnastica della scuola che i primi
componenti del gruppo frequentavano (il professore
detestava i ragazzi con i capelli lunghi!).
(Roberto Bresciani)
Michael Peterson - Baby, I'm Stickin with You
Lo abbiamo salutato nel 2007 con il ricordo di un
eccellente concerto a Voghera/PV e con l’album “In
black”, per reincontrarlo nel 2009 con una serie di
live nel nord Italia e con un nuovo lavoro che fa
pensare a tutto fuorchè al “nero”, ad atmosfere
tristi, potrei anzi dire, con assoluta certezza, che
si tratta di una vera e propria “esplosione di
colori”.
Finalmente ritrova sonorità e testi più solari, dove
le chitarre possono ben rotare ed i country dancers
piacevolmente ballare su delle grandi piste di
legno; già, perché in questo album sono presenti
ballate e ritmi estremamente coinvolgenti, generati
dalle note e dalla penna di un veterano della
tradizione new country che in Italia ha ritrovato
l’energia giusta per far scendere di qualche tacca
il metronomo.
“Baby, I’m stickin with you”, un titolo che riporta
ad una canzone dei Velvet Underground scritta da Lou
Reed o che ricorda la famosa “Happy to be stuck with
you” di Huey Lewis & the News (ma le rimembranze o
l’assonanza è solo nel titolo) è la capolista, la
“copertina” che fa già intuire l’impronta
dell’album. Contraddicendo infatti il famoso detto
“non giudicare un libro dalla copertina”, i brani a
seguire alternano momenti di dolcezza ad altri di
allegria, tutti eseguiti con la professionalità e la
maestria di un interprete che ormai ben conosciamo,
anche in versione acoustic.
Fra i brani più entusiasmanti vorrei segnalare:
. Baby, I’m stickin with you
.
Better than me for you
. Why didn’t you think of this before?
. Support the wildlife, throw a party
. The perfect weekend
. Freight train
La pecora nera? The little we’ve got (troppo vicina
al pop).
(Roberto Bresciani)
Jeffrey Steele - Gold, Platinum, no Chrome more Steele
Greatest Hits II
Che si è di fronte ad un puro genio
musicale lo si sa già da tempo, ma quando si ascolta
una raccolta dei migliori successi di Jeffrey Steele,
come “Gold, Platinum, no Chrome, more Steele -
Greatest Hits Vol. II”, si arriva a toccare con mano
quanto sia ampio il grado di creatività e tecnica
artistica di questo personaggio della country &
outlaw music; un personaggio che peraltro abbiamo
avuto il piacere di conoscere in un’intervista.
In questo album sono presenti undici delle più
grandi canzoni che Jeffrey ha composto ultimamente
per grandi interpreti , come: Anthony Smith (If that
ain’t country), Van Zant (Help Somebody), Rascal
Flatts (What Hurts the Most - Me and My Gang - My
Wish), Steve Holy (Brand New Girlfriend), Montgomery
Gentry (Something to be Proud of - Hell Yeah), Keith
Anderson (Everytime I Hear your Name).
Ebbene, in questo album avrete l’onore di ascoltarle
direttamente da colui che le ha scritte, e vi
assicuro che l’emozione e la sensazione è “al
quadrato”, almeno a mio avviso. Chi mi ha seguito sin
dagli esordi sa quanto io sia legato a
questo artista e quanto la mia obiettività possa
essere stata trascurata, ma vi assicuro che ciò che
alcuni interpreti hanno reso “poppeggiante” qui
diviene “rockeggiante” e la percezione è
indubbiamente molto più toccante. Un esempio su
tutti: My Wish. Ascoltatela cantatata dai Rascal
Flatts e poi dallo stesso Jeffrey… giudicate voi.
(Roberto Bresciani)
Miranda Lambert - Crazy ex Girlfriend
Tempo fa dissi: “Un’altra con la
stessa enfasi e carica di Gretchen Wilson, the
redneck woman, sarà difficile trovarla fra le
cantanti country!”… sono incappato nell’album “Crazy
ex-girl friend” di Miranda Lambert, anno di uscita
2007, ebbene: mi rimangio quanto detto!
Questa giovane venticinquenne, classe 1983, ha
piazzato un candelotto di dinamite nelle fondamenta
delle mie affermazioni e lo ha fatto brillare, ed è
una cosa che non mi ferisce affatto, anzi, mi sprona
a proseguire le ricerche musicali anche in tale
ambito.
Ad indirizzarla sulla buona strada il padre Rick,
chitarrista e cantautore country, lei poi ha fatto
il resto.
E’ una ragazza che non si perde in smancerie o
sonorità commerciali e va dritta al suo stile,
infatti la prima “fucilata” arriva dritta al centro
dati biologico appena premuto il tasto play con il
brano “Gunpauder & Lead” (polvere da sparo e
piombo), prorompente ed elettrica a dovere, come
l’argomento trattato del resto.
Dopo aver consegnato tal biglietto da visita ed aver
fatto ben intendere con chi si ha a che fare,
abbassa un po’ il tiro e torna alle classiche
sonorità country con il secondo pezzo dell’album
“Dry town”.
Il lato romantico di Miranda emerge in “Famous in a
small town”, “Love letters”, una soffice ballata a
ritmo di valzer, “Desperation”, “More like her” e
“Easy from now on”. Il resto è tutto acido nitrico,
solforico e altre sostanze altamente deflagranti.
Non mi credete?
Provate ad ascoltarvi in cuffia “Down”, il mio pezzo
clou della raccolta, “Guilty in here” o “Getting
ready”, pesante bluegrass, oppure la canzone che da
il titolo all’album “Crazy ex-girl friend”, dove
affiora una certa musicalità punk degli anni
migliori.
E’ quindi un’artista attuale, sì, ma che non
dimentica le radici della musica country.
(Roberto Bresciani)
Julianne Hough - Julianne Hough
Si presenta un po’ più pacata della
collega Miranda Lambert, ma è comunque brillante ed
effervescente quanto basta per essere apprezzata in
questa sua opera prima che, come accade nel novanta
per cento dei casi, porta lo stesso nome
dell’artista.
In questo album la presenza del pop e dello stile
Nashville è piuttosto marcata, ma grazie ad una
buona band composta da strumentisti cresciuti a pane
e country riesce a far passare queste trascurabili
pecche in secondo piano. Ricordiamo che Miranda è
nata come ballerina, ha vinto un paio di
competizioni del famoso show televisivo “Dance with
the star” trasmesso sulla ABC, poi la Mercury ha
deciso di farne anche una cantante, con discreti
risultati aggiungerei. Sarà lei infatti ad aprire il
tour 2009 di un big della country music, George
Strait.
La voce appare soffice e vellutata, ben impostata
per un debutto, e le canzoni, fra ritmiche che si
spostano con equità fra il soft ed il vivace,
scorrono fluide e docili sul “palato auricolare”.
Ricorda un po’ lo stile degli Sugarland in alcuni
brani, per intenderci.
Ispira un bel “Candy Kiss” la canzone di start up
“That song in my head”, semplice ma gradevole anche
nel testo. “My hallelujah song”, scritta dal noto
songwriter Craig Wiseman, è un titolo che fa pensare
alla classica pedante ed impegnata traccia che
bisogna talvolta sorbirsi convincendosi di ascoltare
un capolavoro… di tristezza! Questa volta non è
così! E’ una briosa melodia che mette in risalto le
capacità vocali di Giulianne Hough; la penna di
Wiseman non si smentisce.
Cadenze country-soul nel brano “love yourself”,
mentre chitarre più aggressive tentano di ribellarsi
nella traccia “Hello”, non riuscendoci però
pienamente.
Non darei a questo album un bel voto pieno, ma
indubbiamente c’è stato un gran lavoro di squadra
per lanciare la bellissima e talentuosa Miranda
Lambert… su questo non ci piove.
(Roberto Bresciani)
Trace Adkins - X (Ten)
Ha debuttato nel 1996 con l’album
“Dreamin' Out Loud” ed è ora giunto alla sua decima
uscita discografica, non per nulla il titolo del suo
nuovo album, dato alla luce nel novembre del 2008, è
semplicemente “X” (ten).
trace Adkins è un grande artista che ci è capitato
spesso di ascoltare e di ballare sulle nostre piste,
fra le ultime vi ricordo “Swing” e “Honky Tonk
Badonkadonk” tratte dall’album “Dangerous Man” del
2006.
Quello di cui stiamo trattando è un cd che mi ha
veramente colpito già in prima battuta e che ho
ascoltato non so quante volte… ma quel che più mi
stupisce e che non mi sono ancora stancato di
sentirlo proprio per la sua peculiarità, per quella
che è la sua varietà di ritmiche, andamenti e stili.
Si passa dalla malinconia dettata da “Til the last
shot’s fired” al brio dell’honky tonk con “Hauling
one thing”, dal romanticismo di “All I ask for
anymore” al vigore di “Hillbilly rich”, dalla
divertente “Sweet”, brano di apertura, alla soffice
ballata “Let’s do that again”. Non è pedante e non
pretende nemmeno di esserlo. Inoltre l’interprete è
un cantante che ha raggiunto indubbiamente una buona
maturità artistica e musicale, che viene pienamente
espressa in “X”.
La mia valutazione non può che essere ottima.
(Roberto Bresciani)
Keith Anderson - C'Mon!
Lo abbiamo ascoltato e ballato
qualche tempo fa, esattamente nel 2005, con il brano
“XXL” tratto dal suo primo album “Three Chord
Country and American Rock & Roll”, prodotto dal
grande Jeffrey Steele, che peraltro ha collaborato
nella stesura di alcuni testi e musiche.
Un album di esordio che ha portato Anderson, ragazzo
del ’68 nato in Miami, Oklahoma, vicino l’Arkansas,
a grandi risultati:
. nomina a nuovo artista maschile dell’anno di
country music
.
2 brani al primo posto nella top ten: "Pickin’
Wildflowers"; "Every Time I Hear Your Name"
.
2 video musicali al primo posto nella classifica dei
più visti: "XXL"; "Podunk"
Dopo una premessa del genere, che ci si può
aspettare dal nuovo lavoro discografico di Anderson,
sapendo peraltro che anche in questo c’è lo zampino
di Steele in qualità di produttore?
Già il titolo è un invito ad ascoltarlo in piedi,
sì, perché il brano di partenza, che peraltro da il
titolo all’album, cancella dalle menti le immagini
di divani, poltrone, sedie, sgabelli e qunt’altro
esista di comodo su cui poggiare il fondoschena, per
sostituirle con altre di piste da ballo in parquet o
legno, campi da gioco, palcoscenici, sale prova,
Texas Highway, insomma, con tutto ciò che ispira
movimento e adrenalina.
Outlaw, country-rock e southern texas sound qui non
mancano.
Oltre alla canzone
di apertura indicata poc’anzi, vi segnalo: Breack my
heart, Somebody needs a hug, il singolare Sunday
morning in America.
Fra i pezzi slow voglio invece mettere in risalto la
meravigliosa “She could’ve been mine”, dove si
ascoltano passaggi di tonalità vocale degni di un
grande artista.
Il cd è composto da 10 pezzi scritti dallo stesso
Anderson ed una cover "Crazy Over You" di Foster &
Lioyd che lo stesso Anderson ha invitato a cantare
con lui. Insomma, a parer mio, non mancano le
fondamenta “dopanti” naturali per un album da
ascoltare e ballare che si rispetti.
(Roberto Bresciani)
Brad Paisley - Play (the guitar album)
Vi dico già sin d’ora che si tratta
di un album piuttosto singolare per Paisley, lo
potrei definire un cd per palati fini, per
intenditori, un’opera più da “ascoltare” ed
apprezzare che da ballare, se vogliamo capirci senza
troppi giri di parole.
Se non avessi saputo che Brad è della classe ”1972”
e non avessi mai avuto occasione di vedere una delle
sue foto, avrei detto che l’artista che ha
realizzato queste musiche ha un’età che si aggira
intorno ai cinquant’anni, ma non perché monotone o
dal sound “precolombiano”, bensì per la grande
tecnica musicale e l’eccellente versatilità
dell’artista nelle varie sfaccettature della musica
country. Va del resto sottolineato che questo
cantante è sul palco dall’età di tredici anni
ed ha cominciato a suonare la chitarra ad otto.
E’ un cd più acustico che cantato, del resto il
titolo, “Play - The Guitar Album”, e la copertina,
una chitarra elettrica su una altalena un po’
rustica, sono chiari.
Si tratta di una raccolta di ben sedici pezzi, uno
differente dall’altro per strumentazione, sonorità
e tipologia.
C’è del bluegrass (Huckleberry Jam), del southern
texas country (Come on In), del surf-rock (Turf’s
up), dell’ honky tonk (Kentucky Jelly) , del
country-blues (Playng with fire- Let the Good time
Roll), del jazz (Les is More), del Nashville sound
(Start a Band) e chi più ne ha più ne metta.
Molti inoltre i nomi che hanno collaborato e
duettato con Paisley: Keith Urban, Buck Owens, BB
King, Steve Wariner e altri.
Se non sapete quale regalo fare ad un “intenditore”
di questo bucolico genere musicale, direi che “Play”
è una delle migliori scelte dell’anno 2008.
(Roberto Bresciani)
Toby Keith - That don't Make me a Bad Guy
Quello che vado a recensire è l’ennesimo album di un
artista presente nel country music world dal 1993,
anno in cui debuttò con il suo primo omonimo lavoro
discografico.
Dopo l’uscita del film “Beer for my Horses” che lo
vede protagonista affiancato da Rodney Carrington,
il 2008 è anche l’anno in cui Toby Keith lancia sul
mercato musicale “That don’t make me a bad guy”, il
nuovissimo cd dell’etichetta Show Dog Nashville
contenente undici brani inediti.
Si dice che chi ben comincia è a metà dell’opera, e
secondo me iniziare con un allegro country sound
come quello che emerge dal brano in pole position
“That don’t make me a bad guy” è proprio un buon
partire… peraltro, una bella changing dance con una
canzone del genere non ci starebbe affatto male.
Dobro, steel-guitar e violini si fanno da parte per
lasciare spazio a qualcosa di più elettrico e di
impronta “lone star”, texana, elementi presenti nel
secondo pezzo della lista “Creole woman”.
Una battuta d’arresto in un trend in ascesa è invece
provocata da “God love Her”, canzone troppo simile,
a mio parere, ad un precedente successo di Keith,
“Country comes to town” dall’album “How do you like
me now”, ma viene tutto dimenticato con lo slow
“Lost you anyway” e con “Missing me some you”,
pregno di soul e sonorità pure da far venire i
brividi.
Per gli amanti del two step segnalo “You already
love me”, una bella ballata in cui emerge il suono
del caro e vecchio banjo. A cooro che invece
preferiscono ritmi più vivaci e graffianti,
evidenzio: Time that it would take.
Un altro apprezzabile lavoro targato Toby Keith per
la Show Dog Nashville.
(Roberto Bresciani)
LeeAnn Womack - Call me Crazy
Note puramente e squisitamente country, con qualche
accenno blues & Nashville, per il decimo album di
questa decisamente intensa cantante, al debutto nel
1997 con l’omonimo album.
L’andamento “slow” non è proprio il mio genere,
forse lo avete compreso da tempo, ma ho avuto la
fortuna di ascoltare questo lavoro di Lee Ann in un
momento in cui avevo necessità di rilassarmi e di
lasciar vagare la mente là dove nessuno è mai giunto
prima. Sì, perché si tratta di una raccolta di pezzi
in gran parte lenti, dedicati ai romantici o a
coloro che vogliono prendersi un’oretta di pace e di
completo isolamento dal resto del mondo facendosi
cullare dal dolce suono della country music.
Ho trovato una purezza di suono nell’incisione,
anche per quanto concerne gli strumenti acustici,
veramente eccezionale, cosa che mi ha fatto gustare
ancora di più questo cd.
Qualcuno peraltro sarà contento di sapere che è
presente anche un duetto con George Strait in
“Everything but quits”.
La stessa cantante ha anche collaborato nella
stesura di alcuni pezzi dell’album, come per esempio
“Have you seen that girl”, mio brano preferito fra i
dodici presenti.
(Roberto Bresciani)
Mark McKinney - Get it On
Per la miseria ragazzi!
Ogni giorno se ne
scopre uno nuovo. Nello spazio infinito della
country music non si finisce mai di imparare e di
apprezzare. Sì, ogni tanto mi capitano le “lagne”,
lo ammetto, ma quando becchi quelli giusti…
E allora eccovi un altro southern texas singer, un
altro outlaw singer, uno a cui piacciono le auto
sportive e la velocità, e lo si capisce al volo
ascoltando il suo primo lavoro “Get it On”, sparato
in quarta già allo start up!
Prima di cominciare con la hot list vi vorrei far
conoscere meglio il personaggio che stiamo trattando
ed il modo più immediato che ho trovato è quello di
mettervi a conoscenza di quanto scritto dallo stesso
McKinney nella seconda di copertina titolato “From
the heart”: - A year ago I was frustrated and was
toying with the idea of giving up on my musical
dreams.
Around that time I started experiencing on-going
heart palpitations and erratic heart beats. I spent
a couple mounths and way too much money figuring out
my heart was perfectly fine. It was all being caused
by stress and my mind. Why am I telling you this?
Because this life-changing event is what made me
decide to “Get it On!”. I realized my “heart” would
not let me give up on my dreams. I wrote this entire
album soon after. I guess God thought I needed a
good health scare to kick myself in the ass.
Together with my best friend Rob Dennis, we have
found a new way to live. “It’s no hobby; it’s a way
of life!” You don’t quit, you don’t give up, you
don’t wait, you just “GET IT ON!!” May this album
inspire someone else out there to “Get it On”, too.
Voce ed aspetto randagi, trasmettono in tempo reale,
grazie anche ad una impostazione musicale “senza
catene”, l’incredibile karma di chi finalmente ha
raggiunto, fra molte difficoltà, il suo primo
obiettivo. E allora si comincia con un bel ritmo da
lightning polka (coreografia country line dance) con
il brano d’entrata “Comfortable in this skin”. Le
battute accelerano con la second hit “Stompin’
Ground”, elettrica al punto giusto, non mi permette
di tenere le gambe ferme mentre scrivo questa
recensione… se quindi trovate qualche errore, sapete
già il perché. Il vibrante southern country rock di
“Party Foul” non mi consente di tenere le mani su
questa cavolo di tastiera e non vorrei arrivare al
termine del brano senza avervi trasferito le
emozioni ricevute dall’ascolto, ma forse l’ho già
fatto?! Un attimo, ma giusto un pizzico, di calma e
dolcezza ci è dato dal quarto brano della serie “Fall”.
Ed una movimentata couple dance viene naturale con “Bonfire”.
Alti e bassi invece nel rabbioso “Get your country
on”. Gli amanti del two step non possono non
apprezzare il virtuoso “Reckless in Texas”. Tengo a
sottolineare che tutti i pezzi sono stati scritti
dallo stesso McKinney, un ragazzo veramente in
gamba, destinato, a mio modesto parere, a fare
parecchia strada… sempre che il successo non gli dia
alla testa o lo renda troppo “raffinato”, qualità
che non combina con il genere trattato!
(Roberto Bresciani)
Trent Willmon - Broken In 
Non poteva certo sfuggire ad Outlaw Music News un cantante come
Trent Willmon, nato nel marzo del 1973 ad Amarillo, Texas. Non
ci crederete, ma questo personaggio è cresciuto in un ranch
vicino Afton dove non c’era la televisione e si riceveva una
sola stazione radio… a giudicare dai risultati non gli ha fatto
male!
Willmon è stato uno dei primi scrittori assunti nello staff
della Sea Gayle Music, una co-publishing company della EMI
promossa da Chris Dubois, Frank Rogers e Brad Paisley. Il suo
primo album è stato pubblicato nel 2004 “Trent Willmon”, il
secondo nel 2006 “A little more livin’” e la sua nuova
produzione “Broken in”, febbraio 2008. Ed è proprio di
quest’ultima che ci andiamo ad occupare.
Ci vuol dimostrare con chi abbiamo a che fare già dal pezzo
d’entrata, che peraltro dà il titolo all’album, “Broken in”.
Ritmica sincopata e chitarra a go go. “Doesn’t mean I don’t love
you” invece è il classico lento ad “effetto contrario”, nel
senso che quando lo ascolti non ti deprime, ma ti carica. C’è la
rabbia ed il dramma di una storia finita. Si percepisce
dall’intensità vocale di Willmon, che in alcune parti sembra
quasi gridare per la disperazione, e dalla carica musicale che
la band (LEAD
GUITAR & VOCALS
Beau (Bone) Tackett -
BASS & VOCALS
Arlo Gilliam -
STEEL
Tom (Bleu) Mortensen -
FIDDLE / MANDOLIN
Craig Delphia -
DRUMS
Steve Emahiser) è riuscita magistralmente a creare.
Un bel country soul con tanto di armonica ci viene gentilmente
offerto nel brano “Cold beer and a fishin pole”… se pensiamo che
il pezzo di successo del 2004 di Trent è stato “Beer man” ed in
questo album è presente un brano con un titolo come quello
menzionato, vien da sé che al country singer in esame piaccia
non poco questa bevanda. Voi che dite?!
Kandy
kiss, kandy kiss, non c’è dubbio, dovete ballare un kandy kiss
(coreografia line dance) con “Way I remember it”, quinto dei
dodici brani.
Ed entriamo nelle sonorità tipicamente country con “The good o’
days are gone”, “How a cowboy lives”, “Little set of hornes”,
“Tombleweed town” e “There is a God”, di quest’ultimo potete
vedere il video all’indirizzo
http://music.clevver.com/video/32118/trent-willmon-there-is-a-god.php.
Pelle d’oca all’attacco di chitarra acustica ed elettrica in
“I’ll love you anyway”, questi strumenti sembrano dire: - occhio
che questo è un pezzo di grandi emozioni. E quando sono gli
strumenti a parlare, bisogna sempre crederci!
(Roberto Bresciani)
Alan Jackson - Good Time
Si parla di un nome presente nella country music,
nella new country music, dal 1990. Si parla di un
artista da diciassette album realizzati, comprese
due greatest hits. Eppure vi dirò che ho affrontato
questo cd con una certa diffidenza… già, proprio
così! Come dice bene Max, Massimo Cavalieri, io sono
un rockettaro del genere, uno a cui piacciono i
country grintosi, in cui emerge quel po’ di rock o
di “rabbia” che li rende elettrici, ed in passato
avevo ascoltato qualche pezzo di Alan Jackson che mi
aveva trasmesso tutt’altra sensazione, tutt’altra
emozione. Potete ben capire quel po’ di indifferenza
nei confronti di questa nuova uscita. Considerando
tuttavia che è un album consigliato anche da Roby
dj, uno che di musica ne ha masticata e digerita a
tonnellate, mi sono detto: “Non ci pensare, ascolta
e basta!”. E nonostante fossero diciassette brani,
tutti scritti dallo stesso Jackson, è andata, forse
grazie anche ad un pezzo iniziale, “Good time”,
dotato di quella ritmica e sonorità conformi al mio
DNA. Si passa poi ad un ritmo da two step, un bel
country puro, con “Small town southern man”; analoga
tipologia in “1976” e, anche se con ritmiche più
vivaci, in “Never loved before” (in duetto con
Martina McBride) ed in “Laid back’n low key”.
Si passa poi all’honky-tonk con i brani “Country
boy” e “If Jesus walked the world today”.
Scorrendo i titoli si arriva a leggerne uno che
incuriosisce non poco, soprattutto se si è italiani,
più precisamente: “I still like Bologna”. Una
canzone di ispirazione politica? La traduzione in
parole e musica della bellezza di una città
italiana? Macchè, è dedicata ad un salume in scatola
di largo consumo fra gli americani, visto da Jackson
come una soluzione alla frenesia della vita moderna.
Quando si dice l’eccentricità! Non mancano i pezzi
lenti e malinconici, ma ogni tanto un po’ di relax
ci vuole. Riprendiamo di slancio con una bella
polka, con l’hillbilly “Long long way”. Una tiratina
di orecchie invece per il pezzo “This time”, molto
vicina, lo si percepisce già dall’intro del brano, a
“Believe” di Brooks & Dunn. Chiudiamo con un bel
valzer-linedance: “Right where I want you”.
Vincendo le mie “remore” ho scoperto un nuovo Alan
Jackson, in grado di muoversi abilmente nelle
sfumature della country music.
(Roberto Bresciani)
Halfway to Hazard - Halfway to Hazard
Se volevate attirare la mia attenzione, cari Chad
Warrix (lead vocals, guitar, mandolin, banjitar) e
David Tolliver (lead vocals, guitar), beh, avete
trovato la via giusta. Mettere come capolista la
grintosa Countryfied, canzone scritta dal mio autore
outlaw preferito, Jeffrey Steele, è stata una mossa
astuta… bravi ragazzi, vi siete guadagnati un posto
su Outlaw Music News!
I miei complimenti anche per non averla storpiata
con ritmiche e sonorità “raffinate”, avete mantenuto
lo spirito “wild & free” dell’opera del grande
Steele. Ottimo! Le vibrazioni positive rimangono
sulla pelle anche con il brano successivo “Taking me
on”, anche se le sonorità si fanno più “Nashville”.
Un po’ di “pepata malinconia” giunge nei padiglioni
auricolari con “Cold”. Il duo appare ben affiatato e
le voci combinano quasi alla perfezione, dosano
piuttosto bene timbrica e controcanto.
Per un gruppo che si chiama “Halfway to Hazard” non
poteva certo mancare un bel country titolato
“Daisy”.
Ricordate i tempi della scuola, quando i prof
spiegavano quanto erano bravi i poeti ad usare il
suono di alcune combinazioni di parole per ricreare
l’atmosfera del brano? Questa band lo ha fatto
attraverso la musica. In “I’m tired” la stanchezza
la sentite sul serio. La musica quasi si “trascina”,
ha poi degli sprazzi di lucidità per poi ripiombare
a terra schiacciata dalla fatica e dalla
frustrazione. La voce di Chad Warrix è molto simile,
a parer mio, a quella di Steven Tayler degli
Aerosmith… questa somiglianza emerge molto in queta
canzone, ma anche in “Burn it Down”. Ditemi pure se
non è così! Toccante il brano “Die by my own hand”.
Go, go, go with electric guitar, boy! “Country ‘til
the day I die”, titolo che potrebbe essere quasi un
“motto”, infonde un bel po’ di liquido infiammabile
nelle arterie. Alti livelli anche per il rockabilly
“Welcome to Nashville”.
Questi ragazzi sono agli inizi, si sente, hanno
ancora nel petto una gran quantità di tnt, di
carica, che rimane impressa a fuoco in ogni brano
dell’album, anche negli slow.
Tim McGraw, ora posso dirlo, ha avuto buon fiuto nel
produrre questa band. Altra notizia che vi posso
dare è che gli Halfway to Hazard accompagneranno
proprio McGraw nel suo tour.
(Roberto Bresciani)
Jill Johnson - The Woman I've Become
Non so ragazzi, sarà stato un momento di debolezza o
un momento di eccessivo romanticismo, ma è accaduto…
Mi sono innamorato di Jill Johnson! Attratto dalla
bellezza della cantante, mi sono andato ad ascoltare
uno degli ultimi album disponibili: “The woman I’ve
become”, del 2006. Oltre che una gioia per gli occhi
è stata una gioia anche per l’udito. E’ capitato lo
stesso anche con Shania, lo so, però…. Quando talune
bellezze sanno anche comunicare una certa energia,
una certa grinta, beh, non capisco più nulla. So
perfettamente che le critiche nei loro confronti non
sono eccezionali, soprattutto da parte dello zoccolo
duro degli ascoltatori della country music, con la
Country maiuscola, ma io non posso conformarmi a
tali giudizi se qualcosa mi piace e mi fa salire il
tasso ormo… eh, volevo dire, di adrenalina al
livello rosso.
Scherzi a parte, è un album leggero, ma che merita
di essere ascoltato almeno una volta. La country
music si fonde con il rock e con la musica pop, ma
il tutto rimane su discreti standard, grazie anche
ad una voce eccezionalmente impostata e virtuosa
come quella di Jill Johnson, ragazza nata a, badate
bene, Ängelholm, nella parte Sud-Est della Svezia.
Chi l’avrebbe mai detto. Io no. Tali sonorità non si
trovano certo in Svezia, eppure la nostra Jill, la
mia Jill, e la sua band sembrano aver ben assimilato
il Nashville sound. Ne ha fatta di strada quella
piccola che a quattro anni già cantava nel coro
locale. Ben nove cd all’attivo.
Le prime due canzoni dell’album in questione (Til’
the cowboys come home, When love doesn’t love you)
mi hanno caricato a mille e la terza (Blassed are
the broken hearted) mi ha proiettato sulle nuvole,
dove ci sono rimasto per tre minuti e quarantuno
secondi, giusto la durata del pezzo. E’ uno di quei
brani che ti arrivano direttamente al cuore. Però
state tranquilli, la “melassa” è ben alternata al
“chili” in questi intensi tredici brani che
compongono “The woman I’ve become”. Non mancano
inoltre spunti per muoversi un po’ sulla pista. Non
vi annoierete ascoltandolo, parola!
(Roberto Bresciani)
Blake Shelton - Pure BS
Ed ecco uno che “irrompe a passo di carica dove gli
angeli stentano ad entrare!”. Blake Shelton, nato
nel ’76 in Ada, Okla. La sua gavetta comincia già da
ragazzo, suonando negli honky tonk bar. A
diciassette anni Blake ha l’onore di affiancare e
seguire Mae Boren Axton, songwriter e coautore di
Heartbreak Hotel; comincia poi anch’egli a scrivere
canzoni per gli altri sino a comporre per sé
l’omonimo album uscito nel 2001.
Ma passiamo ora allo scanner “Pure BS”, il nuovo
lavoro del 2007 di Shelton.
Bello pompato e roccheggiante, tanto da sfondare
qualsiasi barriera posta nel padiglione auricolare
insinuandosi poi fra i sensi umani, il brano
d’assalto, di partenza, “This can’t be good”. Quando
ogni canale d’ascolto risulta libero e pulito ed
ogni collegamento nervoso è teso e accordato come un
diapason, ecco che arriva una preghiera, “Don’t make
me”, una navicella che ci porta a toccare le stelle.
Il ritmo accelera nuovamente con il terzo brano del
menù, un bel lonestar sound, “The more I drink”, una
bella bevuta fra amici e… qualche guaio. E’
possibile vedere la versione live ed il video di
Don’t Make me sul Blake Shelton Myspace Channel:
http://www.myspace.com/blakeshelton.
Possiede anche uno spazio su Youtube (http://it.youtube.com/user/blakeshelton),
ma non tutti i video sono visibili nel nostro Paese.
Ora immaginate di avere davanti a voi la ragazza a
cui ambite da tempo, ma non riuscite a dirle che vi
piace e che volete passare con lei il resto della
vostra vita… andate dal dj e richiedete il brano
“Back there again”. Poi avvicinatevi lentamente a
lei, fatele un timido saluto con il cappello,
invitatela al ballo allungando la mano verso di lei
e… questa musica farà tutto il resto.
Altri pezzi slow dell’album sono: I don’t care, What
I would’nt give, She can’t get that.
Il resto è tutto un movimento.
Onore al merito: bella e country al punto giusto,
ecco a voi, signore e signori, la splendida “The
last country song”, cantata con John Anderson &
George Jones.
(Roberto Bresciani)
Kevin Fowler - Bring it On
L’atmosfera è graffiante, la voce si avvicina a
quella di un bluesman, vissuta e naturale, e la
musica è elettrica al punto giusto; questo è Bring
it on, il sesto album di Kevin Fowler, sothern texas
singer che ha esordito nel 2000 con il cd Beer, Bait
and Ammo. Alcune canzoni mi ricordano molto lo
stile e la grinta di Jeffrey Steele, e questo gli fa
guadagnare punti nella mia valutazione, per esempio:
Now you’re talkin’; Feels Good Don’t it.
Trovo che vi siano assonanze anche con Tracy
Lowrence (Best mistake I’ve ever made, numero undici
della lista ed “unico” pezzo slow della
sequenza).
I brani non sono tutti in puro country, ma queste
varianti e miscele di honky-tonk, bluegrass, rock,
rock’n roll, se abilmente dosate come in questo
caso, fanno percepire quanto la musica country si
sappia ben combinare con più tipologie musicali,
quasi… completandole.
Ben fermentato il duetto con Gorge Jones nel
country-rock Me and the Boys.
Con Cheaper to keep Her mi sparerei volentieri una
ritmata changing dance. Azzardato e non troppo ben
riuscito, almeno a mio parere, l’esperimento di
Fowler di alternare in una stessa canzone, “Slow
Down”, bluegrass e honky-tonk. Ma è forse l’unica
pecca di questo album. Il resto delle tracce
presenti, tredici in tutto, non delude e
soprattutto: non fa stare fermi!
E’ un cd alla nitro. Spero che ascoltandolo
avvertiate lo stesso incremento di benefica
adrenalina che ho sentito io. Da non ascoltare prima
di coricarsi, tenere fuori dalla portata dei bambini
iperattivi.
(Roberto Bresciani)
Brad Paisley - 5th Gear
Avevo scritto solo da qualche giorno la recensione
sull’album “Bring it On” del grande Kevin Fowler,
rigorosamente sparato in cuffia durante la redazione
del pezzo, quando mi sono detto: andiamo un po’ a
sbirciare le ultime uscite sul sito CMT.com.
Fra i tanti quadrettini (icone) presenti, ho
selezionato Gary Allan ed il suo nuovo album “Living
Hard”. - “Con un titolo così”, mi sono detto,
“magari ascolterò ancora qualcosa di bello ritmato,
di aggressivo…”. Beh, ho sentito le prime cinque
canzoni, poi non ce l’ho più fatta! Troppo lontano
dai recenti ricordi musicali, sia nella ritmica sia
nel genere, troppo lontano dagli standard ottimali.
Così mi sono detto, andiamo su qualcosa di sicuro,
per rifarsi il palato. Ed eccoti il nostro Brad
Paisley, nato in West Virginia nel ’72 e sul palco
in qualità di supporter già all’età di tredici anni,
un cognome certo non facile da scrivere, ma che si
sente e si nomina spesso nel country music world.
Così acquisto il CD, lo inserisco nel lettore,
indosso le cuffie e… play!
E vai con quella chitarra elettrica modulata in modo
da farmi tornare con la mente alle mie prime
strimpellate nelle sale prova di Milano; stesso
suono che si sentiva all’interno di quelle stanze
insonorizzate durante la preparazione del mixer e
della combinazione dei volumi con gli altri
strumenti. Basta veramente poco per farci migrare in
men che non si dica da un momento storico ad un
altro… e basta veramente poco per attrarre la nostra
attenzione. E proprio con questo semplice attacco,
Brad mi ha beccato all’amo! E non ho potuto che
seguire la lenza da “All I wanted was a car”,
effervescente brano di apertura, a “Trottleneck”,
escludendo le bonus track. La presenza del country
sound in questo album è molto palpabile rispetto al
precedentemente nominato.
”Ticks" è il primo singolo estratto dall'album che
ha raggiunto in breve tempo la prima posizione nelle
classifiche di Country Music… e pensare che non è
nemmeno, a mio parere, uno dei brani migliori del
“menù”! Recentemente ha girato il video per il
secondo singolo, "Online", un po’ più ritmato
rispetto al precedente, diretto da Jason Alexander,
star della serie "Seinfeld". Nel video compaiono
anche William Shatner ("Star Trek" e "Boston Legal"),
Estelle Harris (che fa la parte della madre del
personaggio di Alexander in Seinfeld), e Patrick
Warburton ("Regole d'onore" e noto per aver
interpretato David Puddy in Seinfeld). Anche i
supporter di Brad (Kellie Pickler & Taylor Swift)
fanno una piccola apparizione. Parti del video sono
state girate ad un concerto di Paisley nello stato
di Washington. Complimenti a Brad per affrontato in
modo ironico e divertente un tema “inusuale” nel
genere country. Se volete dare un’occhiata ai video,
andate sul sito:
http://musicbox.sonybmg.com/artists/brad-paisley.
Gradevole e dal sapore di festa di contea la ballata
“Some Mistakes”, mentre più soft è invece “I’m still
a guy”. Non manca un bel valzer: “Love was a plane”.
Rimaniamo nella melassa e nella malinconia con i
brani “Letter to me”, “It did”, “Oh love” (in cui
duetta con Carrie Underwood) e “With you without you”.
Le comunicazioni nervose vengono invece pizzicate
con i pezzi: Mr Policeman (lightning polka –
coreografia line dance), Better than this, Bigger
fish to fry.
Assonanze western e giri di chitarra alla Knopfler
in “Throttleneck”, brano che chiude la lista della
sequenza musicale dell’album. L’esperienza maturata
alla chitarra da Brad, già nelle sue mani all’età di
8 anni, si percepisce immediatamente, soprattutto in
quest’ultimo brano..
Un album di tutto rispetto per un artista country di
tutto rispetto!
(Roberto Bresciani)
Jackson Taylor - Dark Days
Lasciate che vi parli del nono album di questo
grande artista “outlaw” nato nella cittadina di
Moody, a nord di Austin, nel Texas. Prima di
procedere è bene però scrivere un paio di righe sul
termine outlaw. Questa stravagante parola, e quindi
l’outlaw movement, è nata sul finire degli anni ’60
con artisti del livello di Johnny Cash, Willie
Nelson, David Allan Coe, Billy Joe Shaver, artisti
che si sono “ribellati” al classico Nashville sound.
Non mancò naturalmente anche l’appoggio di alcuni
record producers come Chet Atkins, che riuscì ad
ammorbidire il crudo sound dell’honky tonk.
Jackson è un cantautore che ha maturato un’ampia
esperienza musicale. Grazie al padre ha ben
conosciuto sin da tenera età la musica degli autori
sopra citati e di altri come Waylon Jennings. Il
lavoro dei genitori, gli impegni scolastici e la
voglia di costruirsi una carriera nel mondo
musicale, lo hanno portato a toccare diversi stati
americani (California, Washington, Nashville, New
York) e ad avere contatti con varie tipologie
musicali (Country - Honky Tonk - Rockabilly - Punk -
Rock). In tutta questa strada, le cui tappe sono ben
raccontate nei suoi album, ha maturato un suo stile
di composizione, espresso appieno in “Dark Days”,
suo recente lavoro. Billy Joe Shaver, uno degli
autori preferiti da Taylor e di cui propone una sua
versione di Honky Tonk Heroes (ultimo pezzo
dell’album in esame), dice:”Jackson’s songs are so
real and honest, you know straight off he’s been
there and done that.
He writes and sings like he lives – great songs
that, I believe, will live forever.”
She’s a real Good Girl, il numero sette della
sequenza, è la mia preferita. E’ un brano in cui
rock’n roll e country si uniscono in un connubio
travolgente… ricordate i pezzi di Jerry Lee Lewis?
Beh, questa canzone li ricorda molto! Honky Tonk
Heroes, già citato in precedenza, penso che sia un
lampante esempio di outlaw, almeno a mio parere. E’
una di quelle canzoni che già al primo ascolto ti da
quel sapore di genuinità e libertà che non sempre è
facile trovare, nemmeno nella musica pop. Me la
immagino come una di quelle canzoni che si
improvvisano al momento, per puro divertimento, e
poi, rendendosi conto che il ritmo e la musica
prendono sempre più corpo, sempre più consistenza,
vengono sviluppate in studio, con ottimo risultato,
aggiungo. Un bel country grezzo emerge in Outlaw
Women, in Drinkin’ alone e in Shallow Grave, se
invece volete qualcosa che vi “graffi la schiena”,
allora il vostro pezzo è Dark Days. Un ritmo più
texano si annuncia in Tradin’ in Tomorrow for Today,
mentre un attimo di respiro ci viene regalato con
Goodbye Morphine, che sembra quasi un “My Maria”
(coreografia line dance). Ci si può lanciare in un
altro ballo di coppia con Lonely. Lo strumento
predominante, che si fa sentire sin dal brano di
avvio Outlaw ain’t wanted anymore, è la chitarra
elettrica, magistralmente suonata da un componente
della Jackson Taylor Band: “Ronnie Belare”, il solo
peraltro del gruppo a suonare in questa produzione.
Un buon cd a 360 gradi, ben curato e sviluppato… del
resto che ci si poteva aspettare da un autore che
nei “ringraziamenti” scrive: “First and foremost I
want to give thanks to Elvis without whom nothing
would be possibile….”
(Roberto Bresciani)
Trisha Yearwood - Heaven, Heartache and the Power of
Love
Una voce di tale versatilità, seppur con
potenzialità tonali molto più elevate, l’ho sentita
solo da Celine Dion, cantante pop di estremo
livello, a mio modesto parere, riemersa ultimamente
con l’album “Taking Chances” (Sony BMG Music).
Pensate che stia esagerando? Provate ad ascoltare lo
start-up dell’album, il vibrante brano di partenza,
che da poi anche il titolo al cd, Heaven Heartache
and the power of love, e subito dopo saltate al
pezzo numero sette della lista, la nostalgica The
Dreaming Fields, dove Trisha è accompagnata
unicamente da violini (Jonathan Yudkin) e da un
eccellente piano (Steve Nathan). Che mi dite? Non
siete ancora convinti? Allora indossate un paio di
cuffie e puntate al numero undici, lo scattante two
step, “Nothin’ about you is good for me” (scritta
da Karyn Rochelle – armony vocals in alcuni dei
pezzi dell’album) e quando avete smesso di ballare…
come? Avete ancora voglia di muovervi? Ok, allora
lasciate andare il cd sul pezzo successivo: “Down
me”, energia allo stato puro. Ora però prendete un
bel respiro e dirigetevi senza tentennamenti
all’ultimo brano del menu musicale, la vellutata:
“Sing you back to me”. Chitarra e voce, nient’altro.
Sublime! Se non ne siete convinti ora, non so che
dirvi.
Nella timbrica e nell’impostazione, l’esperienza di
sedici anni di carriera si sentono. Trisha è un
frutto che ha raggiunto la completa maturazione in
questo cd, non ho dubbi in merito, e si lascia
assaporare dalla prima all’ultima canzone passando
dal new country, all’hillbilly al blues, al soul di
Nothin’ bout Memphis, e via via sino a toccarci il
cuore…. Forse non lo avete compreso, ma questo album
mi ha entusiasmato, non poco.ote puramente e squisitamente country, con qualche
accenno blues & Nashville, per il decimo album di
questa decisamente intensa cantante, al debutto nel
1997 con l’omonimo album.
L’andamento “slow” non è proprio il mio genere,
forse lo avete compreso da tempo, ma ho avuto la
fortuna di ascoltare questo lavoro di Lee Ann in un
momento in cui avevo necessità di rilassarmi e di
lasciar vagare la mente là dove nessuno è mai giunto
prima. Sì, perché si tratta di una raccolta di pezzi
in gran parte lenti, dedicati ai romantici o a
coloro che vogliono prendersi un’oretta di pace e di
completo isolamento dal resto del mondo facendosi
cullare dal dolce suono della country music.
Ho trovato una purezza di suono nell’incisione,
anche per quanto concerne gli strumenti acustici,
veramente eccezionale, cosa che mi ha fatto gustare
ancora di più questo cd.
Qualcuno peraltro sarà contento di sapere che è
presente anche un duetto con George Strait in
“Everything but quits”.
La stessa cantante ha anche collaborato nella
stesura di alcuni pezzi dell’album, come per esempio
“Have you seen that girl”, mio brano preferito fra i
dodici presenti.
(Roberto Bresciani)
Alison Krauss Robert Plant - Raising Sand
Il 23/10/2007 è uscito un album “sorpresa”, nato
dalla collaborazione di due cantanti e due stili
completamente diversi: Alison Krauss (country/bluegrass
singer nata il 23 luglio 1971) - Robert Plant
(cantante dei Led Zeppelin nato a West Bronwich il
20 agosto 1948). E’ un cd composto da 13 brani, un
numero che in questo caso non porta affatto
sfortuna. In esso non troverete solo musica country,
ma un insieme di stili e correnti diverse, dosate e
shekerate a dovere e con grande professionalità.
Ascoltando il primo pezzo dell’album, Rich Woman, mi
è apparsa davanti agli occhi la tipica immagine in
bianco e nero a mezzo busto di Jim Morrison dei
Doors; marcata è infatti la “cadenza” stile anni
’60/70 del brano, con quella gran cassa e basso
(classico) amplificati oltremodo e “l’eco spinto” di
chitarra acustica. Nel secondo, Killing the Blues,
si passa ad un ritmo più country-Nashville, ma di
quelli un po’ malinconici, con ritmo lento ma
stuzzicante. Passiamo ad una ballata quasi gitana,
parlo per sensazioni, nel terzo brano, Sister
Rosetta Goes Before Us, per poi finire in un lento
country-blues con Polly Come Home. Ed ecco che il
ritmo finalmente cresce con Gone Gone Gone (Done
Moved On), ma subito dopo arriva il momento di
abbracciare la propria compagna/o e danzare un bel
tre tempi, un country valzer.
Un accattivante crescendo dal sapore irlandese il
pezzo Please Read the Letter. E via di seguito fra
alti e bassi, fra ritmi latini, rock blando e
picchiato come in Nothin’, blues (Let Your Loss Be
Your Lesson) e ballate (Your Long Journey).
E’ un album “raffinato”, da ascolto.
Premio il limitato utilizzo di artefizi musicali e
strumenti troppo “moderni”, troppo tecnologici, e
l’equilibrio vocale degli interpreti.
(Roberto Bresciani)
Brooks & Dunn - Cowboy Town
…E cominciamo ora ad entrare in quella che è la
“sfera mitologica” della new country music, e lo
facciamo con l’ennesimo album di un duo composto da
Leon Eric Kix Brooks e Ronnie Gene Dunn, un gruppo
formatosi nel 1991 a Nashville grazie all’intuizione
di uno dei dirigenti della Arista, Tim DuBois.
Abbiamo cominciato con Jason Michael Carroll ed il
suo album di esordio, Waitin’ in the country,
potremo dire che abbiamo iniziato con un “novizio”;
poi siamo passati alla critica di un cd pubblicato
da un nome, Bon Jovi, già noto al grande pubblico,
ma più per la sua musica rock piuttosto che per il
new country, in cui vi è entrato con Lost Highway,
fino ad arrivare a conoscere chi è nato e cresciuto
nel mondo musicale che noi amiamo di più.
L’occasione ci è data dalla loro nuova uscita:
“Cowboy Town” (copertina accattivamente, tra il
classico ed il moderno, ma, come si sa, un album
non si giudica dalla copertina… o era un libro?
Ma?!), cd pubblicato dalla Arista - Sony BMG e
prodotto da Tony Brown, Ronnie Dunn e Kix Brooks.
A differenza degli altri cd del famoso duo, fra gli
ultimi Hillbilly Deluxe, questo ho dovuto ascoltarlo
un paio di volte prima di metabolizzarlo. C’è
qualcosa di meno “immediato” rispetto alle
precedenti “opere”, forse una lieve mancanza di
originalità che negli album passati emergeva sin dal
brano di avvio… chissà!? Ora è difficile definire
con certezza il perché di questa “falsa partenza”,
ormai è entrato nel mio DNA e tutto si presenta
fluido e irresistibile, irresistibile come il gran
ritmo da tush push (coreografia line dance) di
Tequila… ragazzi, detto fra noi, se questo brano non
vi prende e il vostro sedere e gli stivali rimangono
incollati rispettivamente alla sedia ed al pavimento
vi consiglio un ricovero immediato o una richiesta
di prepensionamento! E che dire poi del movimento da
polka (the right to remain silent - coreografia
line dance) di Johnny Cash Junkie (buck owens
freak). Ben acceso, anche se la voce di Kix non mi
fa impazzire, Drop in the Bucket, mentre Cowgirl
don’t cry, il quinto dei dodici brani, ispira una
couple dance.
Ed ecco il retrogusto di blues che emerge
assaggiando Chance of a lifetime.
Il pezzo impegnato e strappalacrime non deve
mancare, come ogni grande opera a trecentosessanta
gradi che si rispetti, è qui naturalmente c’è: God
must be busy.
In breve, è un cd che vale la pena avere, un album
che si fa amare…se non al primo, al secondo ascolto!
(Roberto Bresciani)
Jon Bon Jovi - Lost Higway
Ci aveva già dato un segnale di “conversione”
nell’album “Have a Nice Day” con il brano “Who says
you can’t go home” in cui dettava con Jennifer
Nettles, favolosa voce degli Sugarland; con il nuovo
cd “Lost Highway” (2007 – Mercuri Records), le
sonorità country emergono sin dal brano di apertura
“Lost Highway” e si espandono in varie tracce
contenute in esso. Finalmente Giovanni Bongiovanni,
naturalizzato americano con il nome di Jhon Frances
Bongiovi, figlio
di Carol (ex coniglietta di Playboy) e John
Bongiovanni, cambia rotta e si dirige verso la
musica da noi più amata, la new-country music, ed
una presenza come la sua nella sfera dei country
singers non può che dare una tonalità in più a
questo splendido genere musicale, che ancora non ha
trovato (ahinoi!) una valida e meritatissima
collocazione nel nostro territorio.
Nella terza canzone dell’album, “(You want to) Make
a memory”, il ritmo si affievolisce e perde un po’
della vena country per esprimere appieno il rock
melodico di questi ragazzi del New Jersey,
aggregatisi nel 1984 per dar vita ad una grande
squadra.
Ed ecco arrivare un bel “I’ll tell you what” o un
tranquillo “The right to remain silent” (coreografie
line-dance) con il brano numero quattro: “Whole lot
of leavin’”.
Che dire poi del duetto con Leann Rimes in “Till we
ain’t strangers anymore”, dove un tranquillo e
universale cheek to cheek non guasta proprio! Questa
canzone si fa assaporare con l’udito e con il cuore,
senza troppe forzature.
Con la traccia numero dieci “The last night” ci si
balla benissimo un C.C.S. (coreografia line-dance),
avvolti da sonorità calde e coinvolgenti. Si chiude
poi con “I love this town”, un bel new country quasi
appositamente scritto per un ballo di coppia come il
“whisky wiggle”.
Difficilmente questo album vi risulterà sgradevole.
(Roberto Bresciani)